Progetto Dukagjin Estate 2014
E’ già passato un mese dal mio rientro
dalla missione a Dukagjin, nelle montagne a Nord dell’Albania, al confine tra
Kosovo e Montenegro.
Quando torni riprendi a fatica tutte le
attività e senza che te ne accorgi i mesi volano.
Albania, Terra di Missione per noi
francescani.
Già dal lontano 2002 Umberto Virgadaula, responsabile ora
come allora del Ce.Mi.Ofs, andò per la prima volta con Padre Bonaventura su
quei monti e progettarono insieme a
Leopoldo, fra Enrico e Ilaria delle attività con la gente del posto.
Un impegno di prima
evangelizzazione d'altri tempi. Con i cristiani che nel giubileo del 2000
rividero dopo 50 anni un sacerdote scappati lassù dal regime comunista. Due celebrazioni
l'anno tra cui a Natale e nonostante la difficoltà della neve alta la gente
accorreva entusiasta dai vari villaggi.
Questi popoli non hanno la possibilità di essere
seguiti assiduamente da un prete, un parroco.
Nel 2007 il vescovo di Scutari chiese a Padre Antonio
Imperato, frate cappuccino di Alessano (Le), che era in Albania in una delle
missioni che i francescani hanno nel territorio di Scutari, di seguire queste
comunità montane. Padre Antonio si mise al servizio di questa causa, raggiunse
la chiesa del villaggio di Breg Lumi e con tanto sacrificio e spirito
d’adattamento riuscì a guadagnarsi la fiducia della comunità. Durante il primo
anno della sua permanenza mise su un oratorio “rudimentale”.
Importante era dar modo ai ragazzi del posto di
incontrarsi e socializzare non avendo altro modo e tempo per farlo. I ragazzi
ancora oggi sono dediti ad aiutare le famiglie nei vari lavori.
Si iniziarono così alcuni corsi di lingua, laboratori
e attività ricreative. A tutto questo si univa un’attività di catechesi che ha
portato, al termine dei 3 anni di permanenza in quei luoghi, al battesimo di
alcuni di loro. Veniva, inoltre, celebrata l’eucaristica anche nelle chiesette
dei vari villaggi altrimenti chiuse.
Nel 2009 Padre Antonio è stato richiamato in Italia ma
non ha voluto “abbandonare” la gente e soprattutto i ragazzi di Dukagjin
soprattutto perché nessuno ha preso il suo posto di parroco di quelle comunità.
Così, con l’aiuto di volontari italiani e l’impegno di alcuni amici di quelle
comunità dal 2010 ha vita il Progetto
Dukagjin. Esso si articola in un mese (tra luglio e agosto) di attività e
porta, quindi, avanti il lavoro iniziato negli anni dal Fra Antonio.
Il
racconto dei volontari sulla loro esperienza e del posto meraviglioso quale è
Dukagjin ha portato negli anni ad avere sempre più gente pronta a partire.
E una volta
arrivati su quei monti, trascorso già solo un giorno lontano dalla nostra
stressante “civiltà della comunicazione continua”, senza tv, telefoni e il
solito bombardamento continuo di notizie, ci si accorge che le cose importanti
nella vita sono altre.
Eccolo il
segreto delle tante Dukagjin del mondo: le cose essenziali per la vita sono
molto meno di quelle che normalmente abbiamo e usiamo. La convivialità, la
condivisione, fanno parte di quelle essenziali, vivere la vita di un gruppo, a
partire dai turni per le pulizie e la cucina.
Voglio parteciparvi
alcune testimonianze di un gruppo di volontari di Bitonto che hanno fatto, con
me, quest’estate l’esperienza albanese (testimonianze già pubblicate sul sito del progetto www.dukagijn.eu).
COME IL FIUME CHE SCORRE
11/08/14
“E allora, che fai
quest’estate?” “Vado in Albania.” Mi guardano strabuzzando gli occhi. “Cosa?
Albania? Ma perché? Io non credo ci vorrei mai andare.” Questo mi dicevano in
tanti prima che partissi.
Ieri queste stesse
persone mi hanno ripetuto più volte che l’anno prossimo l’Albania sarà una
tappa obbligata. È bastato raccontare qualcosa di quello che abbiamo vissuto.
Qualcosa che non potrà
mai esprimere a pieno la bellezza che porti a casa con te al ritorno da una
settimana trascorsa a Dukagjin. Qualcosa che non potrà farti respirare l’aria
pura e incontaminata delle montagne, o farti sentire sulla pelle il calore del
sole dopo un coraggioso tuffo nelle acque gelide del fiume, oppure riempirti il
cuore come l’abbraccio silenzioso di un bambino che non parla la tua stessa
lingua, ma che dice molte più cose con un sorriso. Qualcosa che non potrà farti
sentire le pietre che scorrono sotto le scarpe nel percorso verso la casa di
una famiglia povera che “ha poco, ma ti dà tanto” (Franco).
Sì ragazzi, andateci.
Anzi, torniamoci!
Ma con quale
obiettivo?, ci chiediamo.
Gli obiettivi sono
infiniti, o forse non ce ne sono proprio. Non bisogna starci a pensare.
Occorrono soltanto poche cose: esserci, scoprirsi, incontrarsi. Incontrarsi
intorno a un falò che brucia sulla cenere di vecchi discorsi, di vecchie
risate, di vecchie lacrime, oppure intorno a una tavola di assi di legno
coperta da piatti di verdure che non ricordavi potessero essere così buone.
Scoprirsi in un bicchiere di Raki riempito obbligatoriamente fino all’orlo e
che non può restare vuoto a lungo. Conoscersi nelle mani strette in un giro
tondo, in un palloncino pieno d’acqua che ti scoppia a tradimento sui
piedi, in un braccialetto di cannucce
colorate tenuto come un gioiello di pietre preziose.
E ritrovare se stessi.
Ritrovarsi nei raschi sulle gambe. Nei muscoli che lavorano e non possono dire
basta. Nelle gocce di pioggia che scorrono sulla faccia mescolandosi al sudore
e scendono giù a bagnare il terreno. Nello zucchero di una prugna colta lungo
il cammino, che funziona meglio di una medicina.
“Vengo per insegnare,
e torno imparato!”(Domenico). É proprio
così. Si impara che le persone sono preziose. Che l’ospite va trattato come
fosse Dio, perché potrebbe esserlo. Lo si fa accomodare sul divano, anche se
con le scarpe sporche di terra o con i pantaloni che grondano acqua. Gli si
offre Raki, succhi di frutta, acqua e poco importa se le persone sono quindici
o se la casa è troppo piccola per ospitare tutti. Si stendono per terra le
coperte e le si coprono di cuscini, quegli stessi cuscini su cui di notte si
poggia la testa. L ’unica
cosa che conta è che tutti stiano comodi, e se non si parla la stessa lingua i
pensieri si scambieranno lo stesso, magari con un sorriso e una stretta di
mano.
“Ho associato il
nostro servizio lì allo scorrere del fiume” (Roberta). Incessante, l’acqua
prosegue a volte più veloce, a volte sembra quasi fermarsi, ma è solo
apparenza, essa continua a scorrere superando le pietre, i massi, le piante,
per poi fiondarsi nel vuoto in spettacolari cascate, portando giovamento sempre
nuovo.
Anche se il fiume
sembra scorrere senza lasciare tracce, le sue carezze incessanti rendono liscia
la pietra, la levigano; così le ore trascorse a Dukagjin possono sembrare una
goccia nell’oceano per i ragazzi che ci abitano, ma goccia a goccia si imprime
un segno nel loro e nel nostro cuore. Un piccolo passo verso la felicità. E ’ con
questa consapevolezza che capiamo quanto “valga sempre la pena donarci”
(Fra Antonio).
Anita Petti
Resp. Servizio Cooperazione
CE.MI.OFS
Alcune immagini del campo 2014